Rapporto Inps sul 2014
Quasi la metà dei pensionati sotto 700 euro al mese
Le donne in maggioranza tra le pensioni sotto 500 euro. I sindacati respingono la “riforma” di Boeri

E' un quadro drammatico quello che emerge dal rapporto dell'Inps relativo alle pensioni per l'anno 2014. Dopo i salari più bassi dell'Unione Europea, la disoccupazione al 13%, quella giovanile sopra il 40%, un milione di posti di lavoro perduti negli anni della crisi, un altro dato che conferma come una grossa fetta della popolazione di quella che dovrebbe essere ancora la settima potenza industriale del mondo, vive nella povertà, nell'incertezza e non riesce a far quadrare i magri bilanci familiari.
Come dicevamo non si tratta di gruppi ristretti bensì di milioni di disoccupati e lavoratori sopratutto precari, a cui vanno aggiunti i pensionati. Sono veramente tanti coloro che finito il lavoro si ritrovano a dover campare con assegni pensionistici da fame: un esercito di 6,6 milioni di persone percepiscono meno di 700 euro al mese che equivale al 42,7% del totale. Tra queste ce ne sono addirittura quasi 2 milioni che prendono meno di 300 euro mensili; una fotografia impietosa delle condizioni in cui vivono milioni di anziani.
I dati dell'Inps evidenziano anche le fortissime disuguaglianze tanto che quel 42,7% di pensionati poveri non assorbe neppure il 19% della spesa totale mentre 724 mila pensioni che superano i 3000 euro lordi gravano per il 15,2% sul sistema pensionistico che in totale eroga 17,2 milioni di prestazioni per anzianità lavorativa e di vecchiaia pari all'82,2%; il resto sono pensioni e assegni sociali, indennità d'invalidità civile. Sono comunque poche le pensioni veramente “d'oro”, e riguardano politici, magistrati, manager e forze armate.
Tra i 1000 e i 1500 euro ci sono 3,6 milioni di persone e 2,7 milioni di pensionati si collocano tra i 1500 e i 2000 euro mensili, da considerare sempre che sono cifre lorde. Esce fuori un quadro dove sono più coloro che sono al di sotto che al di sopra della cifra dei mille euro. Una situazione che tenderà rapidamente a peggiorare come ha detto lo stesso presidente dell'Inps, Tito Boeri, perché oggi si fanno le statistiche su chi usufruisce del vecchio sistema di calcolo retributivo, assai più vantaggioso per il lavoratore rispetto all'attuale contributivo. “Grazie” alla controriforma Dini del 1995 che inseriva questo tipo di calcolo, già dal 1° gennaio 2016, per effetto della revisione dei coefficienti e dell’adeguamento alla speranza di vita, le pensioni saranno più leggere.
Un altro dato che balza subito agli occhi è la disparità di trattamento tra uomini e donne. Esse sono concentrate nelle fasce più basse e diminuiscono a mano a mano che cresce l'assegno; sopra i 3000 euro vi è presente solo una donna su quattro. Questo è dovuto essenzialmente a due cose: l'inquadramento generalmente più basso rispetto all'uomo anche a parità di mansione e l'intermittenza del lavoro dovuta ai figli e agli impegni familiari che nella società italiana, con una cronica mancanza di servizi sociali e con forte impronta cattolica e familista, gravano sopratutto sulle lavoratrici. Ben 3 pensioni su 4 sotto i 500 euro, il 62,6%, sono “rosa” contro il 37,4% degli uomini, mentre fino a 1000 euro il 67,2% è donna contro il 32,8% degli uomini.
Un quarto della popolazione è povera, ovvero 15 milioni di persone, e stando al rapporto dell'Inps, una buona parte di questa è rappresentata dai pensionati, sicuramente da quei 6,6 milioni che prendono meno di 700 euro al mese. La crisi economica dal 2008 ad oggi ha lasciato dietro di sé una lunga scia di povertà aggravando e peggiorando le condizioni dei più deboli. Il 10% più povero della popolazione ha avuto una contrazione del reddito vicino al 30% mentre, nello stesso momento, la diseguaglianza dei redditi è cresciuta a tassi sostenuti.
Il presidente dell'Inps, l'economista di area PD Tito Boeri, alla presentazione del rapporto, ha annunciato l'ennesima proposta di riforma dell'istituto e del sistema pensionistico in 5 punti. Al primo c'è la proposta di un reddito minimo garantito per chi ha più di 55 anni. Veramente paradossale alzare di continuo l'età pensionabile per poi assistere persone le quali potevano già essere in pensione con le regole vigenti venti anni fa. Ma il suo obiettivo è separare assistenza e previdenza nella spesa sociale: l'assistenza deve essere "finanziata dalla fiscalità generale", mentre la previdenza deve intendersi come "prestazione assicurativa, che prevede trasferimenti tra generazioni diverse, e che garantisce diritti proporzionati ai contributi versati". Insomma, risanare i conti dell'Inps che sono in rosso nonostante le pensioni siano sempre più basse.
Gli altri 4 punti della proposta Boeri si concentrano sostanzialmente sulla maggiore flessibilità in uscita, che prevedono ulteriori penalizzazioni per chi esce dal lavoro prima dei 67 anni imposti dalla Fornero, nonostante il raggiungimento dei 43 anni di contributi. Si vuole legare ancor di più la pensione all'aspettativa di vita e all'andamento economico generale e con la scusa di eliminare le disuguaglianze livellare le pensioni verso il basso rendendo retroattivo il sistema contributivo anche a chi ha avuto la “fortuna” di ritirarsi dal lavoro con il sistema retributivo o misto.
Una proposta peggiorativa e inaccettabile a cui i sindacati hanno già risposto di no. La Cgil ha calcolato che le nuove regole taglierebbero le pensioni del 30-35%, in particolare quelle più povere, contrarie anche Cisl e Uil. Vedremo se alle parole seguiranno i fatti oppure dopo un alzata di scudi iniziale seguiranno ripensamenti e capitolazioni come ne sono già avvenute in passato anche sullo stesso tema pensionistico. Le proposte di Boeri, che tra l'altro non ha nessun titolo per presentarle, vanno rispedite al mittente senza il minimo tentennamento.

15 luglio 2015